Specialmente la dominazione spagnola ha lasciato evidenti tracce nei costumi tradizionali del paese che risaltano, durante le sagre e le feste, per i ricami minuziosi, i colori vivaci e per i gioielli in corallo e filigrana su di essi indossati. Il vestito tradizionale femminile, composto da una lunga e ampia gonna, detta "munnedda", da una camicia, un bustino e da grembiule e fazzoletto, chiamato "muncarolu", aveva il suo elemento più prezioso nel corsetto, detto "corìttu", generalmente in prezioso velluto di colore rosso granato.
I vestiti erano, inoltre, importanti strumenti sociali per esprimere differenza di ceto. Pertanto, il viola veniva indossato dalle nubili, mentre il giallo, detto "tuniga groga", individuava le mogli dei signori benestanti, spesso proprietari terrieri, e il nero era colore di vedovanza per eccellenza.
Le antiche storie e leggende di Bonnanaro sono frequentemente legate alla statua della Beata Vergine delle Grazie che, si narra, venne spogliata di tutti i suoi tesori da un bandito che, in seguito a una malattia, fu indotto alla conversione e alla restituzione del bottino. Una delle storie più suggestive è, invece, legata all'anima inquieta dell'antico proprietario della Cappellania del monte Arana, ora oasi di protezione faunistica e regno delle pernici e del cinghiale. Durante la notte, sarebbe stato seppellito dalla moglie sotto l'altare della chiesa di Nostra Signora di monte Arana e, proprio per questo, si mostrerebbe qualche volta seduto sul suo banco nella medesima chiesa.
Molto radicata è la tradizione musicale legata ai cori e alla variante linguistica del territorio. Si hanno tracce degli antichi cantori di Bonnanaro già in un testamento del 1600, custodito nell'Archivio Diocesano della Curia di Sassari, che, fra le volontà del defunto, cita anche quella di una messa funebre cantata nella maniera tradizionale sarda.